martedì 12 febbraio 2013

L'egoismo nell'anziano.

Mi guardo, guardo mio padre. Cinque anni fa (circa) mi avevano detto "... non risponde alle cure, bisogna farsene una ragione, l'età, le complicazioni, gli acciacchi ... occorre avvertire la moglie" (mia madre). I medici, quando parlano di queste cose, sono tecnici nel linguaggio, come quelli della Polstrada, quando danno indicazioni agli "utenti" sulla situazione del traffico, rende le cose canoniche, meno personali per tutti.
Sono stati anni difficili. I medici credono sempre che non segui l'anziano e cerchi di liberartene, di scaricarlo lì. Senti discussioni accese in corsia. Familiari che non vogliono prendersi di ritorno il loro "caro". Gente che di colpo si trova ad affrontare una situazione che non sa come gestire. Gente che litiga coi medici per trattenere in ospedale l'anziano ancora per qualche giorno o chiedono di appoggiare il loro anziano in qualche riabilitazione o in qualche ospizio. Ci sono sempre graduatorie, punteggi, mica cose che si possono gestire sui due piedi o sui quattro della barella. Ci si mette anche l'anziano, che non ci sta, di colpo, ad essere scaricato come fosse un pacco espresso, la situazione è nuova, anzi drammatica soprattutto per lui. L'anziano si rende conto di non poter più far conto sulle complicità e sugli affetti di sempre. Sono di colpo tutti nemici e occorre tirar fuori gli artigli.
Non sono un medico, ma non ci vuole molto per capire che si muore un po' alla volta. Credo che poi, il nostro io, cerchi di far vivere il cuore e non tanto il cervello, cioè il corpo tende a privilegiare quello che in noi è primitivo, il cuore che va in automatico, al cuore non si comanda ... va da solo, fin che ce la fa. Man mano che i pezzi estremi del corpo, non funzionano, vengono abbandonati. Si comincia con le mani, i piedi, i sensi, la parola ecc. e alla fine si spegne anche il cuore egoista, che per sopravvivere ha spento indiscriminatamente tutto, senza pietà e senza riguardi, per l'aiuto che le mani o il cervello hanno dato/fatto per lui per tutta la vita. Tutto è usato, sfruttato, per salvaguardare il nucleo centrale, ultimo a cedere.
L'anziano credo si comporti allo stesso modo con l'esterno. Pian piano taglia con il suo esterno, con i suoi interessi, con i suoi affetti non riconoscendoli più tali. Più l'età avanza e più si torna a badare al sodo e a tralasciare il superfluo. Mio padre, se morissi, non mi presterebbe la sua tomba al cimitero, se l'è comprata e non vuole mollarla a nessuno, nemmeno in prestito. Se io morissi, è convinto che gli manderebbero un'altro dal comune, sa già anche il nome della persona. Senza rimpianti. Ricordo ancora mia nonna molto anziana che sopravvisse ad un figlio. Restò immobile come sempra senza mostrare troppi dolori, sapeva di essere una sopravvissuta e di aver tempo solo per se stessa. Un anziano, superata la depressione e le varie fasi del voler morire, comincia a tornare a pensare alle cose importanti della sua "nuova vita". Presto si fanno largo le esigenze primarie. Gli affetti si perdono in una memoria sempre meno allenata, mentre prende importanza mangiare, dormire ed evacuare quel che avanza.