sabato 11 agosto 2012

La badante va in vacanza

La badante assunta (qualsiasi siano i giorni o le ore di lavoro nel mese), ha 26 giorni di ferie all'anno che si possono accumulare per due anni (fino ad un massimo di due mesi quindi) da fare in un unico periodo o al massimo in due periodi divisi. Le ferie devono essere un periodo abbastanza lungo di riposo e non possono essere frazionate in tanti giorni diversi. I giorni di ferie si considerano sei, dal Lunedì al Sabato indipendentemente dalla mezza giornata di libertà. Per la badante convivente, durante le ferie, verranno pagate (oltre le ferie come giorni di lavoro, come per tutti i lavoratori) anche le indennità sostitutive per vitto e alloggio.
Si chiamano "sostitutive" perchè sono un contributo che si sostituisce nel periodo di ferie al vitto di mezzogiorno e sera e all'ospitalità della quale la badante usufruisce nei giorni di lavoro.
Ogni settimana quindi ci saranno sei indennità di mezzogiorno (1,81 Euro al giorno per sei giorni), sei per la sera  (1,81 Euro al giorno per sei giorni) e sei per l'alloggio (1,57 Euro al giorno per sei giorni).
Le indennità saranno quindi (1,81+1,81+1,57) pari 5,19 Euro al giorno moltiplicate per sei giorni della settimana lavorativa, quindi 31,14 Euro totali, indipendentemente da eventuali giorni di festa nazionale o religiosa durante il periodo di ferie. se c'è una festa durante il periodo di ferie si dovrà pagare doppia (una volta perchè festa e una seconda volta perchè "persa"/coperta dal giorno di ferie. Vale per esempio per chi va in ferie ad Agosto e il 15 di Agosto non fa festa perchè è già in ferie.
Le indennità, indennizzano la badante del mancato uso dell'alloggio solo quando non è al lavoro (gli altri giorni mangia e alloggia presso l'assistito e quindi non prende questi soldi) e dei pasti che come convivente non consuma a casa dell'assistito.
Questi compensi, che normalmente non vengono corrisposti durante i giorni di lavoro, entrano a far parte del conteggio della tredicesima e del TFR.
Le ferie vanno concordate fra famiglia e badante, in modo da essere fruibili in modo che siano accettabili per entrambi. Le ferie proprio per il loro valore di riposo del lavoratore, devono essere tali da risultare effettivamente utili allo scopo. Per questo non si frazionano e vanno prese in modo che anche la badante possa tornare a vivere un buon periodo di riposo con chi vuole e dove vuole.
Spesso, se la badante è straniera, utilizza questo periodo per tornare al proprio paese. Nessuna spesa di viaggio è dovuta dall'assistito per eventuali viaggi di rientro o altro a nessun titolo.
La badante va in ferie ma qualcuno deve pur sostituirla. O si ricorre ad un'altra badante per quel mese, o si fa da se, perchè non è sempre facile trasferire le competenze, le cadenze per i medicinali, le abitudini dell'anziano ad una nuova persona per solo un mese.
Chi assume una badante farà bene a considerare che quando non c'è la badante, bisogna fare da soli e sono spesso anni di ferie ai quali si rinuncia. Nel mio caso, solo per mio padre, per ora sono quattro e prima non è che si potesse tanto star via tranquilli e per periodi lunghi. Per me un periodo lungo è sempre stato una settimana intera senza passare da casa.

lunedì 6 agosto 2012

Le mansioni della badante

Più il tempo passa e più il lavoro della badante con lo stesso anziano, aumenta, fino a diventare, se non insostenibile, quanto meno molto difficile da gestire serenamente.
Quando l'anziano è relativamente in forma e la sua mente funziona, basta un po' di pazienza e tutto si accomoda. Anche una persona giovane e con poca esperienza, può fare un lavoro del genere. Una badante giovane e inesperta, ma comunque tollerante e non autoritaria, da un po' della sua linfa vitale e della sua freschezza, all'anziano, che se ne nutre. Col passare del tempo e alle volte all'aumentare delle reali necessità o anche solo dei "capricci", occorre sempre più personale di esperienza. La pazienza non basta più, ma bisogna sapere cosa e come fare in situazioni difficili e gestibili da casa prima di chiamare, o in attesa del 118.
Le mansioni sono sempre quelle, ma assistere una persona leggermente non autosufficiente è molto diverso dal seguire un anziano totalmente non autosufficiente o magari malato di Alzheimer.
Non esiste un parametro di non autosufficienza fisso, ma esistono diversi stadi dell'incapacità a bastarsi da soli. Non gestire i propri bisogni corporali, non ricordare certe situazioni o certe necessità, non essere capaci di sentire o di chiedere e parlare, non riuscire ad alimentarsi, ad orientarsi nel tempo e nello spazio, non riconoscere i propri cari ecc.
Credo che per una persona che decide di fare la badante, si possa sopportare nella stessa famiglia un lavoro del genere per due, tre, forse anche quattro anni ma chi è portata a vivere con un anziano ancora "vispo", non dovrà andarsi a cercare un lavoro con un Alzheimer, mentre chi è abituata a lavorare con persone con gravi handicap (secondo me) sarà così "materna" anche con un anziano, ancora abbastanza integro, da risultarne un sedativo per la sua vita e per la sua mente.
Essere troppo premurosi con un anziano ancora in forze, lo si impigrisce. Essere svogliati con un anziano fortemente compromesso, rischia di diventare un problema per la sua stessa salute e vita.
Non sempre è facile gestire bene passaggi e modi di vivere così diversi, in conseguenza di un degrado che solitamente non è solo fisico ma anche mentale.
Una badante in una famiglia a 54 ore non è paragonabile ad una persona che fa un lavoro simile in un ospizio su turni.
In famiglia si vive di più, un anziano "noioso" resta "noioso" fino alla sua morte. In ospizio c'è varietà di persone da assistere e il lavoro non è così obbligatoriamente indirizzato su un comportamento standard "noioso". Il turnover (per decessi) rende il lavoro in ospizio meno personale, e meno responsabilizzato anche per l'infermiere più amorevole e responsabile. I turni staccano dal malato, c'è il turno e l'infermiere più distratto e quello più attento, e poi c'è la consapevolezza taciuta, che se l'anziano è lì, non sempre è per la sua salute ma per la normale voglia di vivere e di salute di chi li lo ha messo, talvolta per disinteresse. ma altre per reale impossibilità a fare in modo diverso. L'ospizio (checchè se ne voglia) per l'esperienza che ho avuto, è una fabbrica, dove l'anziano è il prodotto da lavorare. L'umanità è merce rara, mentre la routine, l'abitudine alle situazioni ricorrenti è spesso uno standard. Il medico non è a disposizione dei parenti, quando si ritiene d'averne bisogno, c'è all'ora fissa, e il giorno fisso alla settimana. Non si è li per essere curati ma per essere mantenuti nello stano di salute dell'ultima dimissione ospedaliera.  Ho viaggiato molto e in posti diversi, in tanti ospedali, tanti ospizi e varie riabilitazioni. Quando fra i parenti e conoscenti c'è un problema del genere, non mi fanno mai mancare i loro problemi per trovare la soluzione migliore in tempi stretti. Qualche volta mio padre va in ospedale. Gli ospedali che ho visto, tendevano a radunare i malati in stanze per gravità di stato. Totalmente recuperabili (magari giovani). Persone parzialmente recuperabili e da mandare in un reparto riabilitativo dopo la cura, e altri messi in stanze più lontane dal posto di guardia di medici e infermieri, in stanze che ospitavano solo pazienti da controllare, ma irrimediabilmente (considerati tali) persi. Questi ultimi, vengono solo mantenuti nel loro stato di "malattia" senza più tentare recuperi impossibili, e se non sono in famiglia vengono indirizzati in ospizi.
Mi capita di conosere in continuazione "nuovi anziani"e di averne conosciuti tanti.
Molti sono morti pochi mesi dopo aver trovato sistemazione in ospizio.
Si diventa sempre più anziani quanto più si è non sufficienti.

giovedì 2 agosto 2012

L'anziano non vuole morire

Nessuno vuole morire, a meno di insostenibile grande sofferenza o grande depressione. Nessuno vuole entrare in quel buco per l'eternità. Nessuno vuole spegnere per sempre la propria vita.
E' comprensibile decidere di non volere più la propria vita, a fronte di un grande dolore fisico o una grande sofferenza d'animo. Non volere più la vita, non è una espressa volontà di morire, anche se il ritornello che ripete l'anziano, all'infinito, è sempre quello: "voglio morire". Non volere la propria vita è volere qualcosa di diverso, una speranza, una diversa condizione. Sono pochissimi, rari, quelli che chiamano la morte anche in presenza di un grande dolore fisico. Ho girato molti ospedali e viste tante persone sofferenti allontanare disperatamente il prete che porta l'estrema unzione, non tanto per un fatto religioso, ma per il segnale che tutto il mondo, si è arreso alla fine del mondo, di quella persona. Si può non voler vivere, anche perchè attorno non si intravede altra speranza al vivere quotidiano. La depressione è la grande nemica degli anziani e della decadenza fisica del corpo, quando l'autosufficienza e le prospettive future vengono meno. Ho visto tanti vecchi sani desiderare di morire e lasciarsi andare. Basta non alimentarsi e si muore. Me lo ha spiegato più volte mio padre. Una volta, mio padre, decise di non mangiare più e implorò i medici di aiutarlo a morire, lo fece per un giorno e mezzo. I medici si astennero dalle cure pur decidendo di tenerlo 24 ore in osservazione. Ci passai quel tempo insieme ... 36 ore a parlare e a cercare di ascoltare. Serve molto più ascoltare e guardare, che il proprio parlare, delle volte serve solo ricordare il passato ... è quasi sempre lì la soluzione. Ci si scopre impotenti. I medici alzano le braccia e si arrendono subito, rispettando le volontà del paziente prima di tutto. Si comprende di essere inermi, soli, e di colpo senza speranze, senza medicine, senza alleati. Il caregiver, colui che più di tutti ha seguito, e cercato di essere punto di riferimento per tutti e per l'anziano, comprende di non farcela, di fallire. Il caregiver è anche un allenatore, prima di tutto di se stesso e poi dell'anziano. Credo ci si debba allenare e si debba allenare a vivere. Spesso tutto tracolla per distrazione. Occorre capire quale argomento può far presa nella testa dell'anziano, che chiede solo attenzione. L'anziano non ha più tempo per gli altri e reclama attenzione solo per se stesso. E' uno che sta annegando, e annaspa cercando di tirar sotto, il suo proprio salvatore, come gesto estremo per salvarsi. Chiede di essere ancora parte del tessuto famigliare, dal quale pensa di essere stato escluso. Se nessuno lo vuole, che gli altri lo abbiano almeno sulla coscienza, e scatta la punizione inespressa ma palese del "muoio per colpa vostra".
Quando mio padre decise di ritornare a mangiare, non ci credette nessuno. Non so esattamente quale pensiero nella sua testa sia stato utile a farlo tornare alla vita, e non so nemmeno chi lo abbia aiutato a vivere dei tre o quattro che chiamai per convincerlo a tornare a mangiare. Tutti si attribuirono il merito del convincimento, compreso il prete, che e chiamai per dargli l'estrema unzione, più per fargli paura, che per convincimento reale gli fosse utile a qualcosa. Il prete si rifiutò di dargli l'estremo sacramento, e si limitò a confessarlo. Mio padre concordò con me la resa, ma non saprò mai chi abbia vinto la sua volontà di non vivere. Quello che so è che ne uscii prostrato e dormii per alcuni giorni quando tornando a casa lo vidi ricominciare a mangiare. Mi sembrava di aver attraversato il deserto. Ero distrutto psicologicamente, e fisicamente. Vuoto dentro di tutto. Oggi mio padre pesa 5 chili più di allora (due anni fa) ed è leggermente sovrappeso e so che questo non è bene, devo limitargli gli alimenti gradualmente ... ma la fatica e la paura di quell'esperienza, è stata tale, che mi torna difficile riuscire a farlo con perseveranza.