domenica 16 dicembre 2012

Santa Lucia in RSA ... ma non è un regalo.

Luis (lo chiamerò così per comodità),
nel 2008 era lì con mio padre.
Erano in tre (ai pasti) allo stesso tavolo.
Erano lì tutti e tre in riabilitazione. Mio padre era il più anziano, roba di qualche anno.
L'altro lo chiamerò Gian (per comodità).
Gian viveva da solo, a casa sua, da sempre scapolo, lo aveva portato lì la sorella.
Gian era un po' denutrito, ma nemmeno molto, era denutrito come tutti gli scapoli anziani che sono un po' disordinati anche nel mangiare.
Gian continuava a chiedere che ore fossero e cosa prevedesse il menù per il pasto successivo.
I discorsi con Gian non erano molto profondi, direi piuttosto pratici. Gian delle volte ricordava le anatre arrosto che gli cucinava la madre, quando era in vita. Discorsi di fame e voglia di soddisfarla.
Luis era uno spirito libero, aveva due figli che venivano a trovarlo la Domenica pomeriggio e qualche volta, durante la settimana, veniva una sua parente (non ricordo di quale grado).
Luis era arrivato lì dopo un po' di ospedale, una riabilitazione di routine, era arrivato lì con le sue gambe e il suo bastone. Luis era stato un cacciatore, e nonostante tutto amava gli uccelli, amava vederli liberi di volare.
Quella era una RSA di quelle che una città si vanta di avere e che esibisce come fiore all'occhiello.
Un fiore all'occhiello non è detto sia fresco, anzi, spesso è finto.
Andavo due volte al giorno a vedere mio padre, stavo con lui ore. Parlavo anche con Luis e con Gian. Luis mi chiedeva spesso cosa servisse a lui stare su questa terra. Capiva di essere un peso per i suoi figli e sentiva di avere i giorni contati, loro cercavano di piazzarlo a brevissimo in un ospizio.
Gian era felicissimo di suo nipote, che gli aveva trovato una casa di riposo vicino a casa. Un ospizio non è mai vicino a casa. Un ospizio è fuori di casa per sempre, ma per Gian era sinonimo di pranzi certi ad ore certe e gli bastava.
Luis capiva benissimo di non poter vivere in un carcere ospizio fino alla morte. Non avrebbe retto a lungo questa costrizione.
Luis era caduto lì, in riabilitazione, così lo tenevano legato ad una sedia a rotelle e stava li tutto il giorno.
I suoi figli erano molto contenti della RSA, e mi dicevano di essere certi che lo trattassero bene, perchè non erano parchi in mance al personale.
In quel posto non capirono che due farmaci stavano uccidendo mio padre. Gli ospedali danno le cure, ma le controindicazioni presentano il conto spesso a distanza di settimane o anche qualche mese. Mio padre lì aveva preso anche un'infezione all'intestino (poi curata di nuovo in ospedale al reparto infettivi). Mio padre era mezzo svenuto due volte (per certo), e quelle due volte ero arrivato io a soccorrerlo.
Luis a sera veniva messo a letto e legato perchè mal sopportava questa non libertà. Urlava e inservienti e altri pazienti andavano da lui a ridersela.
Luis morì di disperazione, anzi di infarto per referto clinico, il giorno di Santa Lucia, davanti alla saletta degli infermieri, senza che loro se ne accorgessero.
Mio padre mi ha mostrato il giornale, con il trafiletto dell'anniversario della sua morte quattro anni fa.
Credo che Luis, dovunque egli sia, non abbia catene ai polsi e non legga più il giornale.